Cedere al presentismo* in educazione o scegliere di respirare?

Diverse cose mi sfuggono e tante non riuscirò mai a comprenderle. 
Ma di queste una negli ultimi giorni mi interroga con forza. 
Ed è una questione che ha a che fare con gli adulti, e quindi tanto anche con me.  
Adulti che lavorano con adulti. 
Sono io che spendo le mie giornate ad incontrare altri adulti, tutti quanti implicati nell'educazione di bambini direi almeno fino a 6.anni. 
Sono alcune settimane che mi trovo a fare un lavoro di sostegno e supporto alle funzioni educative e di apprendimento con  adulti che sono soliti, avremmo detto,  "fare colazione con pane e didattica."
Quest'ultima settimana che si conclude con temporaneamente ultime indicazioni e ipotesi sulle modalità di riapertura mi ha visto coinvolta nella discussione per immaginare possibili ripartenze. Educatrici ed insegnanti preoccupate e timorose, ferite per la percezione sociale del proprio ruolo a volte risentite per il mancato coinvolgimento nelle decisioni,  rassegnate nel subire condizioni e modalità che mortificano loro e il lavoro educativo. Arrabbiate, dolorosamente arrabbiate. 
Tutte, o quasi,  ragioni legittime che devono essere ascoltate e raccolte. Fatto.
E poi?
Ecco è sul poi che penso e ripenso. 
Ma poi mi sposto e da una angolatura diversa, ragiono anche sul prima. 
Il prima del poi. 
Come è possibile che insegnanti brave, proprio brave quelle super si sgretolino davanti a condizioni ostili e faticose e soccombano. Disposte a subire e in difficoltà nel reagire.
Penso. 
E provo a fare ordine:
1) quanto lo stato di adultita' è fragile; la fragilità è condizione anche dei bambini, è condizione di tutti.
2) quanto è vero che tutti quanti facciamo passi avanti e indietro ovvero ci muoviamo in diverse direzioni, facciamo andate e ritorni. Come i bambini
3) quanto gli adulti con cui lavoro, con cui lavoriamo tutti noi che accompagniamo a vario titolo i gruppi, hanno bisogno di conferme, hanno bisogno di rassicurazioni sia professionali che personali. Il rifornimento identitario non basta mai. Come per i bambini
4) quali sono le mie responsabilità? Perché anche io ne ho di certo. Come è possibile che insegnanti brave vadano così giù, scivolino nella parte buia e non riescano a re-immaginarsi in situazioni differenti, decisamente complesse e restrittive rispetto alla scuola conosciuta ma non per questo inimmaginabile. Perchè? e mi spiace davvero molto perchè capisco che ci sono meccanismi che mi sfuggono e che probabilmente fatico a comprendere
5) ma il gruppo, quel gruppo che tanto identifica, che tanto compatta ma che tanto omologa e appiattisce, che si presenta a volte come una presenza fortissima che non permette spostamenti dalle posizioni comuni, cosa attiva? il gruppo che in questo momento dovrebbe e potrebbe rappresentare il luogo nel quale fare ritorno per permettersi di pensare cose impensabili e improbabili non regge, non regge l'urto e diviene il luogo in cui portare le fatiche le rabbie e le resistenze e non viene utilizzato come fucina di pensieri e idee. Non serve ad innovare ma serve come base sicura a cui fare ritorno quasi esclusivamente per ripiegarsi. 

Qualcosa, e forse qualcosa di più di qualcosa,  non funziona.

Ma riprendiamoci. 
Provo a proporre ribaltamenti di prospettive, provo a smontare ragioni e contro-ragioni, provo a cambiare codice e grammatica comunicativa. uso termini positivi e possibilisti  accolti mal volentieri in un primo momento, perchè il linguaggio della possibilità non è utilizzato da più di tre mesi e adesso proprio non ci sta. 
Sposto "semplicemente" il focus da noi ai bambini, alla scuola, ai patti che abbiamo costruito con le famiglie nel tempo, al fatto che l'incontro possibile è un incontro tra persone che hanno costruito una storia assieme . 
E che forse l'aspettativa centrale, di senso, è quella di tornare ad incontrarci e poco più.

Ci lavoro e nel giro di tre ore riemerge un pensiero di possibilità. 
Non è magia, è che penso che le energie positive e le expertise professionali, non spariscano, non evaporino solo si nascondano. 
Lo sento dalle parole, lo vedo dalle espressioni e dagli sguardi, dalle pieghe degli occhi che sono quelle di opportunità, pieghe che da tre mesi non si fanno vedere. 
Sino a terminare ringraziandoci reciprocamente. Non so il giorno dopo cosa possa succedere, ma il fatto è che in quel tempo abbiamo guadato acque torbidissime e inquietanti per arrivare ad acque più chiare in cui forse potremmo pensare di immergere almeno un piede.  e ci torniamo a ringraziare.

A questo punto urge che io rifletta sulla necessità, sul bisogno che gli adulti hanno di sentire che sono nei pensieri di altri adulti, devo riflettere sul fatto il mondo degli adulti ha bisogno di parole che lo accarezzino e che davanti all'incertezza e alle distanze si sgretolano. 
Mi chiedo come stiamo veramente?
e poi penso che tutti i ragionamenti che spesso facciamo pensando ai bambini e che riguardano l'autonomia, la possibilità di scelta, a libertà sono discorsi che educatori e insegnanti fanno ma che non sentono su di sè. 
e questo è un'enorme intoppo. non puoi promuovere qualcosa che non conosci, nella quella non ti sei sperimentata. sappiamo che bambini molto autonomi, in grado scegliere e di mantenere la concentrazione su alcuni compiti e richieste rischiano di diventare un po' scomodi. 
Scomodi perchè si organizzano, perchè chiedono le ragioni dei sì e dei no, perchè argomentano e perchè, cosa davvero scomoda, potrebbero avere molto meno bisogno di un adulto protagonista e molto più di un adulto che sfuma, che fa passi indietro e di lato, che sostiene ma non primeggia. e torno a me, al piano degli adulti. 

E noi? quali coordinatori pedagogici siamo? Quali formatori siamo? quanto investiamo nell'autonomia del gruppo, che sia autonomia di sostanza nelle decisioni, nelle scelte, nelle pratiche nei progetti? Autonomia non significa anarchia ma significa accompagnare un gruppo di lavoro a riconoscere nel gruppo stesso una forza partecipativa e di costruzione di significati condivisi, significa investire nelle professionalità e nei rinforzi identitari dei singoli e del gruppo. 
diciamocelo a volte un gruppo autonomo o e forte è un'ottima cosa ma è decisamente più scomodo da governare. ammesso che si debba poi governare. 

Allora cosa sta succedendo? perchè in questo momento di crash complessivo ciò che più è andato in crisi è stato l'impianto e le tenuta psicologica, perchè il mondo dell'educazione fatica  così tanto a guardare oltre sapendo di poter contare su di sè e sull'esperienza maturata? 
Il costante lavoro di denigrazione del mondo dei professionisti della scuola ha decisamente contribuito a scalfire giorno dopo l'autostima e la considerazione di se' come professionisti. 

Noi siamo altro, dobbiamo esigerlo da noi stessi. . 
che vuol dire, banalmente,  che mentre scrivo stanno uscendo render improbabili e impensati sul distanziamento in classe, cabine di plexiglass che reinventano l'idea di cabina per il voto (trasparente -  questo sì che è da paura!! Ops). non infiliamoci nella bagarre, sappiamo trattenerci? 

Respirare e respirare ancora. 
Ci hanno abituato ad una logica di s-comunicazione, ogni due minuti escono notizie e contro-notizie, i social si scatenano. 
E noi? Seguiremo il flusso che ci vuole ammalati di presentismo*, collocati in un presente fatto di distrazioni, dove le notizie periferiche sono amplificate, mentre le esperienze che abbiamo sotto gli occhi vengono ignorate? 
Dove la nostra capacità di dar vita a un progetto (e di seguirlo) è minata alla base dalla continua necessità di improvvisare il nostro percorso attraverso innumerevoli eventi esteriori, pronti a farci deragliare in qualsiasi momento? 

Ecco per accompagnarci tutti quanti a mantenere e coltivare un pensiero riflessivo abbiamo la necessità di non cedere al presentismo e di respirare. 
Perchè a noi, a me,  tocca la cura degli educatori e degli insegnati,  dei gruppi e i gruppi spesso sono anche -in un certo senso- lo specchio di ciò che costruiamo con loro.

Medita Laurina, medita.


* D. Rushkoff


Commenti