Sono settimane di corse su e giù per l'Italia e ammetto faccio fatica.
La frattura della vertebra in dicembre si fa sentire, non le do importanza per non farle credere di avere poteri particolari su di me ma mi affatico.
Ma ha avuto lo strapotere di fermarmi e questi sono alcuni dei miei pensieri fluttuanti.
L'equilibrio, ammesso che sia lecito utilizzare questo termine riferito alla mia persona, sta nel fatto che ora giro in treno il più possibile e quindi mi gusto il paesaggio umano e naturale e soprattutto incontro persone e conosco esperienze sempre nuove.
L'equilibrio arriva dal senso di quello che faccio.
R. Louv in L'ultimo bambino nei boschi parla di equilibrio e di bilanciamento tra digitale e naturale affermando more high tech more nature; bene, io seguendolo dico
more travel more nature,
more teachers more childhood.
Mi succede proprio questo a fronte di tanti incontri con insegnanti ed educatori, sento di dover tornare all'infanzia, voglio solo stare lì.

Che sia impeccabile nella ricerca, nella vicinanza, nella conoscenza, che non si basti.
Adulti che non si bastino e che in virtù della loro posizione non siano "prepotenti". La prepotenza della conoscenza o della supposta conoscenza è terribile. Ora saremo tutti portati a prendere le distanze da quest'ultima affermazione, e lo spero bene, ma alla domanda diretta: qual'è l'ultimo libro che hai letto? L'ultima volta che sei andato a teatro al cinema al museo? Cosa sai, o meglio sappiamo, della produzione cinematografica rivolta ai bambini, cosa sappiamo dei cartoon che oggi i bambini guardano, cosa sappiamo di giochi, app e entertainment digitali che oggi si rivolgono ai bambini?
A queste domande spesso reagiamo con vuoto, silenzio, insofferenza, disagio. Ed è bene che ci sentiamo così. Cosa facciamo per curare la nostra conoscenza e il nostro stare con i bambini che vada oltre il dire che i bambini oggi sono più problematici di ieri, che le famiglie sono sempre più difficili, che la sicurezza impedisce ai bambini di poter giocare liberamente e che la dirigenza o l'istituzione ci chiede sempre più burocrazia.
Cosa facciamo per spostarci dalla malinconia della lamentazione, come la chiama Caramore, che ci rappresenta ostaggio di leggi regole norme e famiglie e presentarci all'infanzia come adulti credibili innamorati della vita, del sapere, della ricerca, delle relazioni.

La pazienza è una forma di coraggio, è sapienza, virtù capace di intervenire sulle imposizioni esercitate dalla passione, di fronteggiare l'istinto, di affidarsi al tempo (ibid.)
Mentre viaggio e penso a come sono uscita di casa, alle parole che ho utilizzato per salutare i miei penso anche che le stesse parole richiedano pazienza, nella scelta, nell'utilizzo, nella ricerca e che questa ricerca delle parole giuste è un specie di atto d'amore.
La pazienza della maestra sta anche e tanto nella capacità di scegliere, creare e offrire parole pazienti, nuove ed equilibrate e su questo aspetto vorrei proprio lavorarci. Anni fa l'ho fatto e adesso ho il desiderio di ritornarci.
Mi viene in mente che la pazienza è anche quando alla domanda di un bambino l'adulto fa spazio e dice sì ci sono, per te e ti ascolto, ecco questo momento è quel momento "paradisiaco" da ricercare, secondo Perticari, tra il programma da realizzare e un futuro, sempre incerto, da costruire.
Ecco, qui ci vuole una grande pazienza, è la pazienza della maestra verso se stessa, i suoi progetti le sue idee e la domanda di futuro, incerto, da costruire.
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