le solite parole, tra vita personale e vita professionale.

Quante parole in questi giorni. tante, tantissime forse troppe. 
non so. 
siamo invasi da parole di tutti i tipi, messaggi incoraggianti, dati, numeri,cifre e controcifre. 
accendi la tv e arrivano messaggi, ti volti e apri lo smartphone e arrivano altri messaggi. 
ordini, contrordini, suggerimenti, indicazioni, notizie, pensieri scritti, letti, raccontati, inviti, suggerimenti, petizioni, lettere aperte, richieste, ordini del giorno.
Faticoso, per me di sicuro, anche perchè proprio in questo momento e in questo luogo io sto scrivendo parole non so se a vanvera ma se così fosse un po' potrei invidiarle -le parole -. 
loro possono andare a zonzo, possono vagabondare possono girare a vanvera. io no, no no. 
Io sono in una dimensione strana perchè pur essendo a casa mia, posso entrare nelle case di tanti di noi, la scuola in questi giorni sta entrando nelle case di tantissimi ragazzi e di altrettante famiglie, stiamo entrando in una delle dimensioni più intime possibili e a volte senza chiedere permesso. 
Le parole entrano con una leggerezza sfacciata, possono permettersi ciò che spesso noi, in quanto persone fatte di pensieri e di corpi non possiamo fare e spesso neppure ci permettiamo. 
Parole senza corpo, volatili, leggere, che inondano, che chiedono, informano richiedono, che accompagnano che suggeriscono. 


Una quantità enorme di parole; mi viene in mente quell'installazione di E. Kessels, 24 hrs of Photos presentata alla fine del 2011 nel museo FOAM di Amsterdam e poi in diverse sedi, in cuiKessels riversava a terra circa un milione e mezzo di foto - scaricate da intenet e stampate in foto cartolina - che corrispondevano alla quantità di immagini archiviate sul portale Flickr in ventiquattro ore. 


Se potessimo riversare a terra la quantità di parole che ogni giorno produciamo non so di  quale spazio avremmo bisogno. 

Ma le parole di oggi non hanno corpo, non hanno matericità fisica. sì lo so la evocano, ma di per se stessa una parola detta è aria, immateriale non ha corpo. e tutte le parole che in questi tempi stiamo inviando alle famiglie, attraverso messaggi e artifici, non hanno corpo. 
Il corpo di questi tempi è il grande dimenticato. Stiamo custodendo e proteggendo un corpo che dovrà trovare il proprio spazio e dovrà poter ri- trovare familiarità con se stesso prima o poi. Sì perchè la famigliarità è qualcosa che si guadagna nel tempo e che si rischia di perdere con grande velocità. Dovremo pensare a luoghi, spazi e tempi che possano accogliere il corpo e le sue manifestazioni, che possano ri-raccontarci prendendo, perchè no, il posto delle parole stesse. 

Una cosa che in questi giorni mi fa pensare e che mi trattiene dallo scrivere è che dentro a questo mondo così parlato trovo poche parole nuove, inciampo spesso nelle solite parole. 
le solite parole sono rassicuranti, sono consolanti, sono di sostegno ci fanno ritrovare perchè le conosciamo e le comprendiamo ma non ci accompagnano lontano

le solite parole sono a volte ripetitive, ridondanti pesanti. le solite parole faticano a generare nuove possibilità e noi abbiamo tanto bisogno di sviluppare l'abitudine alla ricerca di alternative
Come ci ricorda A. Kleon in Tieni duro! le certezze sono decisamente sopravvalutate anzi, ostacolano le scoperte. 
Ecco per spostarci dalle nostre certezze, abbiamo bisogno di parole nuove  che ci aiutino forse ad essere meno corretti, e che ci facciano pensare ad azzardi. 
La riapertura dei servizi educativi e delle scuole attende tutti quanti noi e abbiamo bisogno di pensare ad azzardi, di pensare a situazioni che fino a qualche giorno fa non osavamo nemmeno immaginare. 
Stazioni di beatitudine dove pensare davvero (cit.)

Abbiamo bisogno di luoghi in cui poterci permettere di essere quasi "dissacranti" e di sapere di non essere giudicati, perchè se vogliamo che non siano le solite parole abbiamo la necessità di sentirci al riparo dai giudizi. 
Sempre Kleon ci dice che la speranza non sta nel sapere già all'inizio cosa verrà fuori ma sta nell'andare avanti nonostante l'incertezza. Mi sembra un bella prospettiva educativa e che molto spesso sosteniamo, non avere paura nonostante le incertezze, costruire la strada mentre la si fa, provare a stare nelle situazioni così come sono e via andare potremmo dirne tante altre.
Allora vorrei riuscire io per prima a lasciare le solite parole, sono alla ricerca di strade nuove, passo le giornate a leggere e studiare, a costruire, cucinare, a stare in giardino e a guardare il cielo e alla sera cerco di trovare uno spazio in cui provare a comporre le mie esperienze quotidiane secondo diverse combinazioni. anche se sono i soliti sguardi e i medesimi scorci, anche se il mio spazio di vita mi sembra sempre quello, da mesi ormai. 
Cerco soprattutto nel processo combinatorio nuove soluzioni e nuove possibilità, educo il mio pensiero a non tonare sui medesimi passi, faccio liste di cose che farei solitamente e cerco di evitarle. 
e poi ricombino e compongo. ho lavorato tanto sulla composizione e sull'arte combinatoria. e so che uno dei segreti, per me, sta nel ritenere ogni combinazione possibile 
anche la più stramba, 
la meno riuscita, 
la più sporca. 
e da lì posso trovare nuove parole, nuove intuizioni, nuove ispirazioni. 

ogni tanto torno alle solite parole, le accarezzo con affetto ma vorrei riuscire a dirmi che le posso lasciare andare. 
per ora ci sto ancora lavorando ma coltivo speranze. 
Vi aspetto nella mia personale stazione di beatitudine.

Commenti

  1. Oggi ero particolarmente inquieta, alla ricerca di qualcosa. Sono uscita a prendere i giornali, ne ho presi più del solito perché avevo bisogno di leggere, di trovare, appunto, parole famigliari che mi ispirassero a trovare nuove possibilità e nuove idee. Poi per fortuna ho incontrato i tuoi pensieri e le tue parole Laura. Ciò di cui avevo bisogno per ricaricarmi. Nel cumulo delle parole ammassate credo che ognuno possa rovistare per trovare quelle più familiari, in cui riconoscersi. Le braccia e i pensieri degli altri sono preziosi in questo. Oggi sul mio davanzale che guarda verso le montagne ho appoggiato la parola "speranza" , come la proponi tu riprendendo Kleon. E siccome sono convinta che il lessico, per essere famigliare, debba corrispondere al vissuto, oggi praticherò l'andare avanti nell'incertezza sulla cyclette, oggetto prima d'ora a me sconosciuto , che mi rappresenta concretamente la possibilità di uscire dalle vecchie abitudini per coltivarne di nuove, di allenare la resilienza individuando, di volta in volta, nuove possibilità. Grazie

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